Sono bastati soltanto cinque minuti per creare il progetto e poi appena cinque mesi per trasformare un vecchio frantoio del ’700 nella casa di villeggiatura in terra salentina di una “coppia d’oro” del design italiano: gli architetti Roberto Palomba e Ludovica Serafini, da oltre 25 anni designer di prodotti che sfuggono alle tendenze.

Questa “magia” è avvenuta grazie alle caratteristiche peculiari dell’edi cio, che pur essendo stato un luogo di lavoro, ha alti soffitti a volta e archi che ricordano una cattedrale, con una naturale e solenne eleganza. I cambiamenti di livello e la presenza di zone in cui la luce non può raggiungere l’interno, oltre alla pietra spesso irregolare e di fortuna, non hanno fermato, ma al contrario stimolato la creatività della coppia, il cui approccio al progetto è innanzitutto filosofico, con uno stile che si avvicina all’idea di equilibrio delle culture orientali.

“Ci siamo subito innamorati del posto. Il desiderio era di entrare in uno spazio di decompressione, un posto dove potersi fermare, dove il mondo sta fuori”, spiega Ludovica Serafini. “Il progetto è nato in pochi minuti, l’intero restauro è durato cinque mesi, con solo cinque visite al cantiere, e questo grazie all’eccezionale team di artigiani locali. Il processo di creare una casa da quello che era essenzialmente uno spazio di produzione era affascinante, misterioso. Per me, l’architettura è la risposta all’ispirazione che provo quando entro in un luogo, non vedo quello che è in questo momento, ma ciò che è in realtà. Una volta risolto il problema della luce, perforando il sof tto dell’ingresso che è rivolto a nord, abbiamo potuto quindi pensare all’arredamento. Dove c’era oscurità, ora c’è luce”.

Pezzi antichi e mobili minimal

Le pareti ripulite e i soffitti a crociera – che alternano stucco bianco e tufo – sono ora testimoni di un intervento sobrio e riguardoso della struttura dell’antico frantoio, che risale al 1700. Anche l’arredo è stato scelto secondo il principio di basso impatto rispetto al contesto; pezzi antichi e di valore e mobili semplici e di design non si impongono, quindi, né con i colori né con le forme, ma sono finiti con toni neutri che spesso rappresentano la qualità stessa dei materiali.

Cucine comprese: una principale, al centro della casa, e una attinente alla dépendance annessa all’edi cio e quindi destinata agli ospiti.

“Abbiamo posti a dormire per 12 persone, e questo è solo perché ho dovuto fermare Ludovica”, dice Roberto Palomba. “Lo spazio è nato per essere condiviso, ma rispetta anche la privacy di tutti. È sempre divertente vedere come ogni individuo si appropria di una piccola parte, che si tratti di un divano, di una sedia su una terrazza o persino di un piccolo pezzo di ombra. Tuttavia, al tramonto, siamo tutti con un aperitivo in mano”.

Sotto la grande cappa

Articolato in più ambienti aperti che si susseguono tra loro, lo spazio interno della dimora gioca con effetti luce/ ombra che si intrecciano con la trama di pareti e sof tti in pietra e valorizza gli arredi. A cominciare dall’atrio di ingresso – che, come diceva l’architetto Sera ni, è volutamente a cielo aperto – ci si addentra negli spazi giorno. Accanto al soggiorno, ecco la cucina principale.

“La scelta di posizionare l’ambiente cucina proprio in quella parte della casa – spiegano i due designer – è dovuta all’analisi che abbiamo fatto tra architettura e corpo uma- no. Nel corpo umano lo stomaco è collocato esattamente al centro del nostro corpo, così come la cucina di Sogliano Cavour (Le) si trova al centro di tutto lo spazio architettonico. Noi creiamo architetture per far vivere esperienze uniche, e l’esperienza si basa sempre sul nostro corpo e sulla conoscenza che abbiamo di noi stessi.

La cucina è una island EL_01 con la cappa a isola Kono, che abbiamo disegnato per Elmar. Il materiale che abbiamo individuato per la cucina è un bellissimo acciaio spazzolato, una super cie che invecchia davvero bene, caratteristica a cui lo studio dedica sempre molta attenzione, ovvero l’utilizzo di materiali durevoli nel tempo, con una visione ecosostenibile. La cappa, che si caratterizza per non avere un tubo di aspirazione, riesce ad aspirare totalmente gli odori, perché contiene all’interno una altissima tecnologia. Dall’esterno appare come una lampada ma in realtà si tratta di un elemento tecnico fondamentale per poter collocare quel tipo di cucina in un luogo aperto.

Ma chi sarà tra i due il più appassionato dell’arte del cucinare?

“Tutti e due – concorda la coppia – , anche se a Mi- lano non amiamo particolarmente cucinare, quando ci tro- viamo in Salento adoriamo farlo, partendo dalla spesa che solitamente viene fatta con tutti gli ospiti. Poi, quando ini- ziamo a cucinare, quello diviene il luogo dell’aggregazione, dove tutti partecipano. E la cucina si trasforma nel luogo dinamico della casa”.

La casa delle emozioni

Nella casa, oltre alla grande cucina, c’è anche un cucinotto, che ha una funzione ben diversa dall’ambiente principale. “Si tratta di due scenari completamente diversi, la cucina principale rappresenta il centro, il fulcro della casa, mentre il cucinotto bianco fa parte della dépendance sul rooftop della casa alla quale si arriva dalla terrazza. Quindi oltre all’autonomia completa che abbiamo dato alla dépendance, c’era anche un aspetto estetico da dover curare, per questo abbiamo pensato di realizzare un’estetica molto forte, utilizzando fuochi che nascessero direttamente dal piano di marmo così come un grande pesce disegnato su mattonelle, per catalizzare l’attenzione e per creare un impatto emotivo”.

D’altronde, il valore della cucina salentina di Palomba e Serafini sta proprio nel valore più emotivo e creativo del luogo, rispetto alla casa metropolitana dove trascorrono la maggior parte dell’anno. “Per come la viviamo noi – spiegano – la cucina della casa pugliese rappresenta un luogo di aggregazione e di divertimento, un luogo di ricerca dove esplorare la propria creatività, mentre la cucina di città per le nostre abitudini di vita rappresenta la funzione, con tutta la dignità di una bellissima cucina, ma senza attributi diversi”.

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