La casa abruzzese risulta essere tipologicamente semplice e caratterizzata da grossi muri prima in pietra e poi in laterizio con tetti in legno e coppi, con facciate arricchite dagli effetti di mensole, cornici e cornicioni ed elementi in ferro battuto.

L’edificio oggetto dell’intervento è un elemento di sommità di un “incastellamento” tipico della città storica, realizzata nella fase di prima espansione fuori le mura, espansione verificatasi dopo l’unità d’Italia in quasi tutti i centri antichi abruzzesi.

Alla base del ogni intervento sul costruito esistente ci si trova ad affrontare un difficile equilibrio fra conservazione e modificazione ovvero tra una esigenza di conservazione di ciò che è sedimentato ed appartiene o è riconducibile alla identità costruttiva locale e ciò che invece può essere modificato o addirittura cancellato.

Si è scelto quindi di utilizzare come materia progettuale un concetto teorico di Vittorio de Feo, maestro dell’architettura del secondo 900, secondo cui:

“Per meglio affrontare un progetto che ben corrisponda a quanto già esiste, in qualsiasi luogo, occorre tenersi lontani da qualsiasi geometria ideale, astrattamente presunta per non depauperare un ambito reale di quei valori essenziali che di volta in volta gli conferiscono irripetibile originarietà”.

Appare opportuno disegnare architettura non come se ci si trovasse, all’improvviso, di fronte a una pagina bianca, sollecitati unicamente da problemi tipologici e funzionali, ma come se si fosse chiamati non tanto a iniziare una vicenda del tutto nuova, ma a continuare quanto già da altri predisposto.

Ne risulta un’architettura che assume significato proprio e valenza unica e irripetibile pur nella semplicità della soluzione, poiché è rapportata alla particolare unicità del luogo.

Le operazioni principali alla base del concept progettuale sono state dunque un mantenimento della parte bassa dell’edificio ed uno svuotamento del resto di esso, conservando l’involucro esterno.

L’involucro sottoposto ad un’operazione di conservazione e recupero viene ridefinito e completato dalla copertura a falde con manto in coppi, configurazione ereditata dalla situazione preesistente. La continuità e complanarità delle quinte murarie fa da sfondo all’impaginazione calibrata delle bucature, peraltro già esistenti, su entrambi i prospetti.

L’involucro edilizio di per sé ricco e forte, ancorchè dalla schematica semplicità geometrica, viene quindi assunto come un recinto tridimensionale capace di accogliere ed esaltare nuove spazialità interne: il progetto aspira dunque ad essere una reinterpretazione di una tipologia tradizionale della casa abruzzese su più livelli, in cui elementi architettonici e frammenti del vecchio impianto divengono palinsesto delle ragioni della contemporaneità.

Elemento caratterizzante della casa è la scala che aggrega e ricompone volumi e spazi dislivellati: si sviluppa intorno al muro di spina e viene percepita secondo diversi punti di vista disvelando ai diversi livelli cromatismi e matericità diverse.

La composizione, la luce zenitale e artificiale e le policromie dei nuovi materiali plasmano una spazialità interna complessa e libera in cui i nuovi spazi e le nuove superfici tra loro coordinati accolgono funzioni diverse dell’abitare: mobili progettati su misura convivono con oggetti di design ed elementi di arredo scelti direttamente o già posseduti dalla committenza. Il colore bianco prevalente ed unificante per la spazialità interna tende a conferire alla casa un senso di astrazione e minimalismo.

Questo progetto si inserisce con continuità e prosegue un percorso di ricerca che tenta di integrare la tradizione costruttiva locale con l’astrazione dell’architettura minimalista contemporanea già sperimentata in altre occasioni progettuali.

Progetto: contrappunto_lab (Vincenzo Di Florio, Annalisa Sforza)

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