Tra le colline e le vigne, i boschi e gli ulivi che caratterizzano il territorio “incantato” della campagna senese, si ergono ville e casali unici al mondo. Una di queste splendide dimore appartiene a una coppia di archistar italiana, celebre a livello internazionale per le numerose opere tra cui il nuovo Centro Congressi del quartiere Eur, a Roma che si connota per la “Nuvola” sospesa dentro il parallelepipedo trasparente. Parliamo, progettisti di chiara fama che hanno firmato edifici e case divenuti celebri ovunque facendosi portavoce della cultura e dello stile italiano, anche grazie a un riconoscibile e personale “fare progettuale” di spiccato carattere avanguardistico.

Il casale in Toscana 

Nulla a che vedere, però, con la loro casa in Toscana che, quasi in contrapposizione con lo slancio architettonico degli edifici progettati dalla coppia, è “seduta” dolcemente su un terreno rigoglioso di piante e fiori.

casaleSi tratta di un casale di antiche origini, che racconta da secoli la storia del luogo e ora anche il “vissuto” dei due progettisti. Incorniciato dal verde dei giardini che lo circondano, il casale mostra un’importante facciata principale di carattere tradizionale, costruita con mattoni a vista e pietre di fiume. In realtà sono due gli edifici che compongono il casale: quello principale e uno più piccolo, usato in precedenza come deposito per gli attrezzi agricoli. Una grande dimora quindi, che nell’edificio principale comprende ben 18 stanze e 8 bagni, mentre all’esterno la proprietà si amplia con un giardino coperto, un pergolato e tre aie.

I lavori di ristrutturazione globale operati da Doriana e Massimiliano Fuksas riguardo la struttura sono stati soprattutto di consolidamento mentre, negli interni, gli interventi si sono concentrati sull’apertura degli spazi che oggi risplendono per la raffinatezza di scelte a contrasto. Il sapiente effetto non-finito delle pareti interne si confronta così con un tipo di arredo di grande forza espressiva, che mixa sedute di design scandinavo, luci e oggetti di design made in Italy e molti mobili vintage e di artigianato etnico acquistati dalla coppia durante i loro viaggi intorno al mondo o realizzati su proprio disegno.

I fasci di luce che “irrompono” dalle finestre accendono le nuance tenui che dipingono gli ambienti arricchiti dallo stile raffinato di antiche madie, tavoli di vecchia memoria, elementi decorativi particolari tra cui antiche porte in legno marocchine in legno lavorato e scolpito a mano. La ristrutturazione del casale ha coinvolto entrambi gli architetti, che si sono occupati dei lavori in modo differente: Massimiliano Fuksas ha seguito principalmente le opere strutturali, mentre Doriana Mandrelli le scelte di interior e di arredo.

Ma facciamo un passo indietro. Partendo dal principio, come è avvenuta la scelta di questa casa e quali sono stati gli elementi che vi  hanno maggiormente affascinato?

(M.F.) Questa casa l’abbiamo vista e presa subito, quasi senza indugi, sviluppandone il progetto in loco.  Entrambe le case facevano parte di un complesso più ampio di abitazioni rurali: il nucleo più antico è medievale e risale al Trecento, e doveva essere un edificio a carattere religioso, una badia, con la struttura di una torre; le altre porzioni edificate sono state aggiunte nei primi anni dell’Ottocento, a partire dalla certa destinazione d’uso agricola. Abbiamo poi semplicemente eliminato e semplificato quello che non serviva mantenendo l’architettura originaria, costruita con materiali poveri e tradizionali; abbiamo cancellato le superfetazioni e le diverse contaminazioni prodotte dai vari restauri, alcuni dei quali molto incisivi, come l’ultimo, attuato negli anni ‘70. 

Volendo quindi entrare nel vivo dell’iter del progetto, quali sono stati i passaggi più impegnativi per voi, nella fase di ristrutturazione? E quanto della struttura originale è stato modificato e che cosa avete invece mantenuto?

(D.M.) Massimiliano si è occupato soprattutto delle scelte di consolidamento delle strutture e io ho avuto grande libertà per la ristrutturazione degli interni. Il primo e importante obiettivo di questa fase è stato aprire gli spazi e mettere in comunicazione tra loro i diversi ambienti. Mi sono poi concentrata sugli interni che – come vuole la tradizione abitativa rurale – sono raccolti attorno ai camini e collegati tra loro da volte e arcate. 

Come avete conciliato il rispetto della tradizione con il gusto contemporaneo che caratterizza i vostri progetti? 

(M.F.) Abbiamo sbiancato le originarie travi in castagno con il latte di calce, mentre le pareti sono state trattate con un tipo particolare di tadelakt, una tecnica di intonacatura di origine marocchina in cui il bianco si “sporca” in ombre di colore e con il suo trattamento a calce permette di ricreare pareti variegate, come segnate dal tempo. Abbiamo rifatto gli infissi e scelto il cotto del pavimento, più chiaro rispetto a quello tipico delle dimcameraore di campagna toscane, che è stato usato appositamente per incrementare la luminosità generale. Nella cucina, invece, sono state lasciate a vista la struttura in mattoni alle pareti e le travi al soffitto.

(D.M.) Per le scelta d’arredo, gli ambienti sono stati “contaminati” da oggetti e mobili di provenienza differente.  L’architettura è essenziale, l’amore per il design si accompagna a quello per l’artigianato. Parlando del casale principale, il pianterreno è un grande open space, con la struttura a vista delle piccole volte a mattoncini imbiancati che scorrono verso un camino sul fondo della sala. Nei grandi saloni e nelle ampie stanze, materiali poveri trovano abbinamenti imprevisti con elementi di design vintage.

Come nasce l’idea di utilizzare le porte come elemento di decoro e da dove le avete recuperate?

(D.M.) Le porte in legno che si vedono fissate ai muri sono antiche porte di riad marocchini. Le abbiamo utilizzate appendendole alle pareti come quadri o per nascondere armadi a muro.

Quindi avete inserito, accanto a oggetti di design, anche alcuni elementi etnici: come li avete selezionati? 

(D.M.) Nei grandi saloni e nelle ampie stanze, materiali poveri trovano abbinamenti imprevisti con elementi di design vintage. Una poltrona in cuoio di Arno Jacobsen convive con due candelabri lignei da chiesa con teste di angeli del Seicento, dalle ricche dorature, posti ai due lati del camino. Il tavolo da pranzo, che probabilmente era un piano da lavoro su cui sono stati montati dei sostegni di legno, è circondato da sedie francesi di bistrot degli anni Trenta, in foglio di ferro. Il candelabro in peltro contrasta con le lampade in carta di riso di Isamu Noguchi. Al piano superiore, invece, i tappeti berberi dai disegni geometrici si snodano tra le stanze da letto, i salotti e una biblioteca, come a unire cassettiere italiane, pannelli dipinti indonesiani, scuri legni intagliati dall’India, una carta topografica della Roma settecentesca di Giovan Battista Nolli, poltroncine di Harry Bertoia, quadri di Schifano, madonnine russe. Lo stesso eclettismo si ritrova anche nel secondo edificio, dove la luce filtra tra grate di mattoni.

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